Ultima conferenza per Luciano Spalletti da allenatore del Napoli al Konami Training Center. Una sorta di commiato con saluti a tutti quegli che gli sono stati affianco in questi due anni: “Ringrazio tutti quelli che ho incontrato in questi due anni per me indimenticabili. Ringrazio un gruppo di calciatori straordinario, una città nata per il calcio, i tifosi in giro per il mondo e i bambini che mi hanno abbracciato. Ringrazio tutta la squadra, i vari staff, i dirigenti, i dipendenti del club, il Presidente e la società tutta”.
Sull’abbraccio di ieri con ADL: “Abbraccio con De Laurentiis? C’è un’aria di “o me o lui” e io non voglio che ci sia questa divisione. Nessuno dei due deve annullare l’altro, abbiamo lavorato benissimo tutti insieme. Il senso dell’abbraccio era quello: volevo giocare anche un po’ cancellando queste sensazioneiche si sentono nell’aria”.
Una città che ha fatto innamorare il tecnico toscano: “Quando abbiamo capito che avremmo vinto lo scudetto, ho iniziato a dire alla squadra che avremmo visto la città esplodere di gioia. Ora mi rendo conto di aver parlato per mesi di qualcosa che nemmeno io conoscevo. Napoli non va immaginata, è molto di più dell’immaginazione. Napoli va vissuta e allora ci si rende conto di quello che è. Probabilmente sono sempre stato un po’ napoletano, avevo bisogno di questi due anni per diventarlo del tutto”.
Una squadra che ha sempre dato l’impressione di avere in mano la situazione: “Non c’è stato un momento determinante, c’è stata una mentalità determinante che ha fatto la differenza. Il gruppo è composto da amici e professionisti, fino a stamattina hanno messo impegno e entusiasmo. Da qui si capisce perché questa squadra avrà un grande futuro”.
Sulla cittadinanza onoraria che il Comune di Napoli ha deciso di assegnargli, Spalletti continua: “La cittadinanza onoraria mi emoziona tantissimo. Mi piace essere diventato napoletano, mi piace pensare che anche tra dieci anni potrò tornare qui e essere amico di tanti, ritrovare l’affetto”.
Sulla difficoltà di lasciare il Napoli: “La cosa più difficile da superare è lasciare questo gruppo. Il loro amore ti fa dubitare sulla decisione presa. In questi giorni, immaginandomi lontano da qui, ho realizzato quanto sia difficile andare via. Il cuore e l’egoismo ti dicono che dovresti continuare perché c’è una squadra fortissima su cui costruire ma è proprio l’amore che sento che mi fa fare questa scelta”.
Sulla cena con De Laurentiis sulla quale è regnato il mistero per molti giorni, il tecnico di Certaldo spiega: “In quella cena abbiamo sistemato tutto in quarto d’ora. Siamo stati lucidi nel concludere quello che era il motivo del nostro incontro. Eravamo d’accordo che avrebbe comunicato lui la scelta. Non sono uno che cambia idea facilmente quando prende una decisione. Probabilmente mi faccio male da solo? Sì. Ma non lascio perché ho smesso di amare, lascio perché ho amato e ho dato tutto”.
Un addio che impone un bilancio che, visto i risultati, non può definirsi negativo: “Quando sono arrivato De Laurentiis ha detto che non gli interessava niente della Coppa Italia e l’ho preso in parola (ride, ndr). Dovevamo tornare tra le prime quattro e rimettere a posto i conti. È stato bravo a prendersi delle responsabilità che altri presidenti non prendono. Abbiamo risistemato tante cose, facendo il lavoro di quattro anni in un biennio. Ho imparato a essere più imprenditore con lui e lui è diventato più allenatore con me”.
Sull’ultimo impegno della stagione, da onorare davanti al pubblico amico, Spalletti conclude: “Demme ed Olivera non si sono allenati, Mario Rui è rientrato da poco. Mi piacerebbe dare spazio a chi ci ha accompagnato tutto l’anno, la formazione sarà simile a quella che ha giocato più spesso”.
Sul tatuaggio che ha fatto tanto discutere Spalletti prosegue: “Mi sono fatto questo tatuaggio per guardarlo e ricordare, sarà questa la mia cicatrice ed in qualche stazione hanno già cominciato d offendermi”.
Un anno sabbatico ed un futuro nel quale non vorrà mai avere un avversario: “Non voglio giocare contro il Napoli, mettermi una tuta diversa da quella del Napoli. Si parte da lì, poi a fine anno si fa l’inventario di stimoli, pensieri, sentimenti e si guarda un po’ dove siamo. Quest’anno guardo il Napoli dalla tribuna, sono distante venti metri a dove ero quest’anno, anche dalla televisione si vede bene lo stesso”
Poi un concetto ribadito già altre volte sulla città: “Napoli ha fatto vedere che la felicità non ha confini o bandiere. Hanno accolto chiunque avesse voglia di festeggiare con grande altruismo e disponibilità. Ho amici che vorrebbero venire alla festa di domani al Maradona ma non ci sono più biglietti”.
Poi un pensiero su Kvaratskhelia: “Kvara è un giocatore fortissimo, ed era già sulla bocca di tutti prima che rrivasse. Giuntoli me ne parlò, io diedi il mio assenso e la società è stata brava ad investire per prenderlo. Poi il ragazzo ci ha messo del suo, ascoltando e sgranando gli occhietti. Si avvicina a Maradona per le sue giocate e per le sue accelerate da fermo. In Georgia avete veramente ungrande calciatore, uno che mette a posto le cose. Ha l’imprevedibilità, ti crea lo sconquasso per la difesa avversaria, calcia di destro, di sinistro, ha fatto gol di testa, ha gambe importanti, sotto il profilo del salto va in cielo, può diventare fortissimo anche di testa. E’ un grandissimo campione”.