La nostra storia non incomincia nella primordiale e immaginaria Macondo di Garcìa Marquez, ma nella base militare più importante francese, a Brest, in Bretagna.
Nel 1987, nella squadra cittadina, militano due argentini provenienti dal Boca Juniors: Il primo è Carlos Tapia, campione del mondo con Diego Maradona nel mondiale messicano. Il secondo è il difensore dalle grandi narici, Jorge Higuaín, detto appunto “El Pipa”, divenuto da poco padre del piccolo Gonzalo. La squadra bretone, incomincia male e finisce peggio.
A fine stagione retrocede come penultima in classifica con soli 32 punti. Al ritorno in Ligue 2, Jorge è rispedito in Argentina, sponda River Plate, lui anima xeneizes, scriverà il primo capitolo di tradimenti calcistici della famiglia Higuaín.
Il rientro alla madrepatria diventa quasi tragico per gli Higuaín: Il piccolo Gonzalo viene colpito da una meningite fulminante e rimane in bilico tra la vita e la morte. È la prontezza della madre, Nancy Zacarías, a salvarlo, affidandolo ai migliori medici.
Gonzalo, cresce con i suoi fratelli: Nicolàs, Lautaro e Federico. E trascorre l’infanzia assumendo medicinali per eliminare definitivamente la malattia, ma il calcio, si rivela essere la sua migliore cura. All’età di otto anni, ritorna in Francia, accompagnando il padre alla scoperta di talenti per il CT dell’albiceleste Daniel Passarella. Non sapendo ancora però che il miglior talento, papà Jorge, ce l’avesse proprio sotto i suoi occhi e portava il suo stesso cognome, e il cuore pompava lo stesso suo sangue, Gonzalo Higuaín, per uno scherzo del destino, esploderà proprio nel River Plate di mister Daniel Passarella.
Bastano 13 milioni di euro al Real Madrid di Ramón Calderón e mister Fabio Capello per accaparrarsi l’appena diciannovenne Gonzalo Higuaín, divenuto El Pipita.
La sua storia con i blancos è composta da sudore e gloria. Gonzalo osserva, impara, fa a sportellate con i migliori attaccanti della vecchia e nuova generazione, tra cui in ordine sparso: Ronaldo il fenomeno, Van Nisterlooy, Benzema e Raúl, per garantirsi un posto tra i titolari. Rientrerà nei piani di tutti gli allenatori che ha avuto, ripagandoli a suon di gol, di tutti tranne del mister tedesco Bernd Schuster che lo schiererà fuori ruolo e, dubitando delle sue qualità realizzative. A Bernd Schuster, succederà Manuel Pellegrini, nella stagione 2007-2008, e Gonzalo Higuaín diventa capocannoniere blancos del campionato, siglando una rete in più al nuovo arrivato Cristiano Ronaldo.
La sua avventura spagnola si conclude dopo 6 stagioni, 264 partite e 121 gol, vincendo per tre volte il campionato spagnolo.
Sceglie il Napoli, rivoluzionato dall’arrivo di Rafael Benitez. Sceglie soprattutto Napoli, dopo un assiduo corteggiamento della Juventus, campione d’Italia. È accolto da centinaia di tifosi, al suo arrivo a Capodichino, con il coro “Din, Din, intervengo da Torino, ha segnato Higuaín”. E sceglie per la prima volta in carriera di vestire la maglia numero nove, la sua leggenda può avere inizio. I due anni con Benitez, in 104 presenze, sigla 53 gol, mettendo in bacheca della società azzurra, una coppa e una supercoppa Italia.
È un Higuaín caravaggesco, fotografia di un Napoli che assorbe qualche ombra di troppo. La semifinale d’Europa League persa, con qualche polemica, contro il Dnipro, ormai scomparso dal mondo del calcio attuale. Lo spareggio Champions, perso in casa contro la Lazio di Pioli, portando il risultato in parità con una doppietta fulminea ma sparando alle stelle il rigore della rimonta, sono la dimostrazione di un Napoli che non esalta troppo i suoi tifosi.
Quella del 2015, è un’estate difficile per i supporters partenopei, l’arrivo del “maestro di campagna” Maurizio Sarri, non infiamma la piazza. Il primo incontro di presentazione tra Gonzalo Higuaín e mister Sarri, avviene il 26 Luglio nel ritiro estivo di Dimaro. Nessuno ha segnato questa data sul calendario del calcio italiano, nessuno avrebbe immaginato che quella stretta di mano era tra un padre e un figlio acquisito. Inizia cosí la miglior stagione della corriera del Pipita.
Facendo un salto indietro, nella stagione 1949-1950, uno svedese di nome Gunnar Nordahl, con la maglia del Milan, abbatte ogni record di reti, siglando in serie A, 35 marcature. Dichiarerà: “Nessuno segnerà come ho segnato io”. Nello stesso anno, un altro svedese riempie i botteghini internazionali delle sale cinematografiche, il suo nome è Ingmar Bergman. Nemmeno lui avrebbe scritto una sceneggiatura così perfetta la notte del 14 Maggio, quella notte in cui Higuaín con una rovesciata rispolvera gli almanacchi e supera il record di Nordahl, concludendo il campionato con 36 reti. Higuain da caravaggesco si incorona napoleonico, ritagliandosi un posto nella storia, tra i più grandi, ricordando che nelle 36 marcature, solo 3 di queste sono state messe a segno dal dischetto di rigore.
L’estate che segue, l’argentino chiede al patron Aurelio De Laurentiis di costruirgli una squadra vincente, tramite il fratello Nicolas, divenuto suo procuratore, invoca la cessione di Callejon, pedina inamovibile nello scacchiere di Sarri. Non soddisfatto dei rinforzi, il rapporto tra il Napoli e Higuain si rompe definitivamente. È l’acerrima rivale Juventus a mettere il dito nella piaga, pagando la clausola di 90 milioni, facendo del Pipita l’acquisto più costoso della serie A. È un tradimento che scuote Napoli e il padre acquisito Maurizio Sarri, deluso dalla sua fuga segreta a Madrid per le visite mediche ma dichiarando che lo vorrà sempre bene come un figlio. Se i sentimenti mutano, i ricordi restano, è la storia ad andare avanti. Il tradimento è l’inizio del pensiero di quella rivoluzione sarrista, oppressa proprio dal figliol prodigo Gonzalo, che in quel famoso Inter-Juve decide, insieme a errori arbitrali, la partita al novantesimo. È l’ultimo capitolo di Sarri a Napoli, sarà anche l’ultima pagina del miglior Gonzalo Higuaín.
La stagione successiva, l’argentino di Brest, si sente scaricato dalla società juventina dopo aver ufficializzato Cristiano Ronaldo. È l’inizio della sua parabola discendente. Sceglie il Milan, per rabbia, dura un girone d’andata. Va al Chelsea, prima, e ritorna alla Juve, poi, in entrambe le squadre sotto la guida e la cura proprio di Maurizio Sarri, vincendo ancora ma non ritrovando mai la condizione di una volta. La bacheca si riempie, ma qualcosa sul suo volto si spegne. La maglia che non si è sentito mai addosso è quella del suo paese. Criticato per non essere mai stato decisivo, anzi. Gonzalo manca l’appuntamento per consacrarsi in patria tante volte, con gol sbagliati clamorosamente in finali come la coppa del mondo contro la Germania, e le due finali consecutive di coppa America, fallendo ancora una volta – come l’ultima con Benitez in casa contro la Lazio – un rigore decisivo per le sorti dell’Albiceleste.
Gonzalo è disgustato dal calcio, dichiarandolo tossico, vuole ritirarsi da questo mondo e provare a ritornare ad essere felice. È la madre, Nancy, a salvarlo ancora una volta, lo convince a continuare a fare quello per cui era nato, mettere la palla in rete.
El Pipita, allora, abbandona l’europa, destinazione Inter Miami, nella Mls, campionato già sondato dal fratello Federico. Higuaín rimane vicino all’amata madre, malata da tempo, fino alla fine. Morirà il 27 Aprile 2021, e Gonzalo decide di giocare il suo ultimo campionato. Vuole lasciare il calcio, in modo decisivo, contro l’italiano Toronto, rifilando un gol a quattro minuti dalla fine, che denota, lo spirito del numero nove sul Pipita rimarrà sempre vivo. Arriva in conferenza trattenendo le lacrime, per poi abbandonarsi al pianto, dichiarando il suo ritiro.
Gonzalo Higuaín, anima fragile dai piedi d’oro, mentalità ignava dai gol romantici, la tua carriera è stata una delle pagine più belle dei numeri nove della storia del calcio.
Luigi Pellegrino